Chi sono

Heylà ciao! Mi chiamo Elena e sono la piccola nomade (lil' nomad) dietro a questo blog.

Sono Italiana di nascita, abito in Scozia, e ho vissuto in una manciata di altri paesi.

Viaggiare ha sempre definito la mia vita e non potrei mai farne a meno. La mia missione è esplorare il mondo, ascoltare le sue storie, e catturarle con la mia macchina fotografica. Sono appassionata di natura e dei grandi spazi aperti, ma anche di storia e patrimonio. E se un luogo ha cibo di strada tipico, lo vorrò provare di sicuro.

A woman looking at her camera lens through an antique mirror

Sono fortemente a favore di uno stile di vita etico e sostenibile e faccio del mio meglio per comportarmi di conseguenza anche quando sono sulla strada.

Spero che condividendo le mie storie di viaggio potrò darti l’ispirazione ad avventurarti fuori dalla porta di casa e ad esplorare il mondo, sia che ciò significhi prendere l’aereo per un paese straniero in cui leggere i segnali stradali è uno sforzo di decifratura, fare trekking in un parco naturale ad un paio d’ore da casa, o anche solo visitare quel mercatino nel tuo paese che ti incuriosisce da un po’.

Ogni volta che lasciamo la nostra zona di comfort e assumiamo un atteggiamento aperto e curioso, apriamo la porta a nuove esperienze, e le esperienze sono ciò che conta nella vita, non ti pare?

Ciò che ti puoi aspettare da questo blog è un mix di:

  • informazioni pratiche di viaggio e guide che ti possono aiutare a programmare le tue esplorazioni

  • aneddoti e impressioni raccolti durante le mie esperienze in giro per il mondo

  • Resoconti di treks e altre attività all’aperto

Questo blog continuerà a crescere gradualmente man mano che il mio stile di vita si fa più nomadico. Quindi non ti allontanare troppo se sei curioso di vedere dove mi portano le mie peregrinazioni. Potrebbe essere dove la vita decide di portare anche te.

La mia storia

Una piccola sognatrice

Sono nata vicino a Venezia e sono cresciuta circondata dall’abbondante bellezza dell’Italia.

Venezia è una città fatta di storie, e quelle storie non solo hanno nutrito la fervida immaginazione della mia infanzia, ma hanno anche creato in me un appetito per altre, nuove trame. Non c'è voluto molto perché la familiarità con canali e calli veneziane portasse la mia curiosità a cercare nuovi orizzonti e nuovi racconti. Leggevo libri ambientati in terre straniere e mi perdevo fra le pagine del vecchio atlante di mio padre.

I miei genitori lavoravano molto, abitavamo in un piccolo appartamento, e da figlia unica trascorrevo la maggior parte del pomeriggio a casa da sola o sotto la supervisione di qualche babysitter.

Eppure non ricordo di essermi mai sentita sola o “inscatolata”. Trovavo la mia evasione nei libri, e la mia testa era spesso in qualche paese straniero in cui la gente parlava una lingua strana e gli edifici avevano forme fantastiche.

Quando il sogno è diventato realtà

Prima di compiere vent’anni avevo quasi solo visitato l’Italia.

I miei genitori mi portavano all’annuale vacanza estiva nel sud. Serbo ricordi vividi di quelle vacanze – il blu del cielo, i tramonti di fuoco, i giorni passati pigramente in spiaggia, il cantare a squarciagola in macchina durante il viaggio, le cene memorabili sotto il cielo stellato dell’estate. Ricordo anche le code infinte in autostrada con temperature sopra i 35 gradi per arrivare a destinazione, e la gente che usciva dalle macchine diventate forni per fare due chiacchere e far passare il tempo. Sì, parliamo di epoca pre-aria condizionata.

L’unico altro paese che ho visitato prima dei miei vent’anni è stato il Regno Unito. Per tre anni di fila ho trascorso parte dell’estate in un college nella campagna inglese per imparare la lingua.

Un momento topico della mia adolescenza è stato vedere Londra per la prima volta. Ero una ragazzina abituata alle piccole città italiane, e quella metropoli multiculturale mi ha riempita di stupore. Ricordo come fosse oggi il senso di meraviglia per i grandiosi edifici, la sorpresa suscitata dalla vista degli uomini d’affari in giacca e cravatta che mi sfrecciavano di fianco in bicicletta nella City, il richiamo quasi ipnotico di mille aromi sconosciuti che dai ristoranti si riversavano nelle strade. Viaggiare nella metropolitana o prendere un autobus a due piani era per me l’equivalente delle montagne russe. La gente aveva un aspetto diverso, parlava un idioma che capivo a malapena, e usava un linguaggio corporeo che non riconoscevo. Quello è stato il mio primo “shock culturale” e ne sono diventata subito dipendente.

Torna all’inizio

E poi il mondo si è aperto davanti a me

Dopo aver compiuto vent’anni il centro della mia vita è diventato viaggiare.

Da studentessa universitaria risparmiavo ogni centesimo per fare più giri possibile. Non facevo grandi feste e spendevo solo in ciò che era necessario: la mia priorità era di partire alla fine di ogni sessione d’esami.

Nel penultimo anno dell’università mi sono spinta oltre e mi sono trasferita a Dublino con la mia migliore amica per l’intera estate. Abbiamo fatto molta festa, certo, ma c'è stata anche la completa immersione in una città e in un paese che non avevo mai visitato prima. Avevo un lavoro a tempo pieno e un gruppo stabile di amici, potevo attingere all’inestimabile sapere della gente del luogo, ho carpito la cultura e assorbito le usanze dei dublinesi. Nessuna vacanza di una settimana avrebbe mai potuto darmi la stessa profonda conoscenza di Dublino. In più, essere non nativa del luogo ha avuto il beneficio di non farmi dare niente di tutto ciò per scontato e di farmi assaporare ogni momento.

Con Dublino è cambiato tutto.

Ho imparato che per capire e apprezzare appieno un luogo dovevo diventarne parte il più possibile. Le vacanze potevano farmi vedere quanto si trovava sulla superficie, ma ciò che io bramavo era la conoscenza vera, quella che viene dall’interno. Volevo conoscere la storia dei luoghi non solamente dai libri e dalla visita dei siti storici, ma dall’ascolto delle storie della sua gente. Volevo assaggiare il cibo locale non solamente mangiando nei ristoranti tipici, ma mangiando ciò che le persone del posto consumavano nelle loro case. In altre parole, dovevo risiedere lì.

Torna all’inizio

Una vita nomadica

Dopo la laurea ho finito con l’abitare in un paese diverso ogni anno per sei anni di fila.

Ho cominciato con l’usare ogni visto working holiday (vacanza – lavoro) disponibile ai cittadini italiani: nell’ordine, Australia, Nuova Zelanda e Canada.

Australia

Ho scelto l’Australia per prima perché mi trovavo in una relazione a distanza con un ragazzo australiano. Non appena sono arrivata, la sua famiglia mi ha accolta a braccia aperte, facendomi sentire che da quel momento avrei avuto perfino una famiglia all’estero! Ad oggi sento ancora la mancanza di quelle persone e sarò eternamente grata per il modo in cui hanno condiviso le loro vite con me, facendomi dimenticare il mio status di straniera.

Ricordi centrali dell’Australia includono:

  • quasi non credere ai miei occhi alla vista giornaliera del Sydney Harbour Bridge (il famoso ponte sulla baia di Sydney) mentre mi recavo al lavoro in centro

  • mangiare il miglior panino con bacon e uova cucinato su un rudimentale barbecue dopo una notte passata in tenda nel mezzo del selvaggio entroterra

  • spogliarmi goffamente mentre attraversavo la spiaggia bollente di corsa nel tentativo di raggiungere le onde del Pacifico senza ustionarmi le suole dei piedi

  • restare a bocca aperta davanti agli incredibili tramonti offerti dal più grande cielo io abbia mai visto al mondo

Nuova Zelanda

In Nuova Zelanda ho lavorato a tempo pieno per dodici mesi a Wellington, e ho trascorso i successivi tre in un furgoncino esplorando il paese, forte di tutta la conoscenza che avevo accumulato in un anno. Di tutti i paesi in cui ho vissuto, la Nuova Zelanda è stata la più difficile da lasciare. Non solo sono rimasta di stucco davanti alla bellezza mozzafiato dei paesaggi, ma sono stata anche ispirata dai neozelandesi e dalla loro cultura aperta. Qui ho anche stabilito profonde amicizie che porterò con me per sempre.

Ricordi centrali della Nuova Zelanda includono:

  • ridere come una pazza alla vista della povera gente che, come me, doveva affrontare ogni mattina il famigerato vento del lungomare di Wellington sulla via del lavoro

  • il senso di libertà che ho provato nello svegliarmi ogni giorno nel mio furgoncino e nel poter decidere senza vincoli o programmi dove andare durante i tre mesi passati ad esplorare il paese

  • trascorrere un autentico Natale neozelandese con la famiglia della mia più cara amica

  • svegliarmi nella mia tenda al cinguettare degli uccellini durante tre giorni di trekking nel meraviglioso Queen Charlotte Track

Canada

Il Canada è stato un po’ difficoltoso sul piano lavorativo perché il visto working-holiday per cittadini italiani è valido solo per un massimo di sei mesi. Questa ridotta durata ha fatto sì che riuscissi ad ottenere solo lavori molto temporanei e ben poco interessanti, e di conseguenza non mi sono sentita poi così ben integrata. D’altro canto ho avuto però la possibilità di vedere la sua fauna maestosa e alcuni paesaggi incredibili. Inoltre, il Canada mi ha donato Tyler, il mio compagno di vita, e questo mi sa che compensa ampiamente le difficoltà lavorative!

Ricordi centrali del Canada includono:

  • vedere il mio primo orso camminare giusto fuori dalla mia finestra a pochi giorni dal mio arrivo

  • trascorrere l’inverno più freddo della mia vita a Calgary nel calduccio del mio appartamento

  • far conoscere il Canada ai miei genitori durante la prima reunion di famiglia su suolo straniero

  • approfittare della variegata scena gastronomica di Vancouver. Da sushi fra i migliori del mondo, a bannock (pane fritto tipico della tradizione nativa) da leccarsi le dita, ad abbondanti pietanze ucraine e oltre, questa città non è seconda a nessun’altra per offerta culinaria. La mia conoscenza del cibo si è espansa come mai prima.

Alla fine del mio anno in Canada avevo perso molto della mia italianità. Parlavo la mia lingua madre solo al telefono coi miei genitori, mangiavo patatine fritte più spesso della pasta, e potevo perfino sopportare di andare a fare la spesa vestita in colori spaiati.

Al di là degli aspetti paesaggistici, le somiglianze culturali fra Australia, Nuova Zelanda e Canada sono molto più numerose delle differenze, e dopo tre anni in quello che aveva finito col sembrarmi quasi un unico paese, la mia vita aveva cominciato ad assumere un tono di prevedibilità.

In quella zona di comfort ero diventata un po’ apatica, e sentivo la mancanza dell’ispirazione e della sorpresa generate dalla vista di orizzonti sconosciuti. Quindi, dopo aver risparmiato meticolosamente per un anno, io e Tyler avevamo abbastanza per rimetterci sulla strada e siamo partiti alla volta di nuove destinazioni.

Sud-est asiatico

Abbiamo trascorso i successivi nove mesi nel Sud-Est Asiatico come viaggiatori zaino in spalla, aprendoci ad un periodo profondamente illuminante.

Il primo paese in cui abbiamo messo piede è stato il Vietnam, e nel momento stesso in cui sono uscita ad esplorare le strette viuzze del quartiere vecchio di Hanoi, ho capito che c’erano molte sorprese in serbo per noi. Le nostalgiche rovine dell’architettura coloniale, il rumore dell’incessante traffico di scooter mescolato al sonoro cinguettio di esotici pennuti, lo squisito e onnipresente cibo di strada che costava solo frazioni di dollaro e la cui fragranza invadeva le strade e mi affamava a tutte le ore del giorno, il caos di cavi neri annodati attorno a pali e angoli di edifici. Tutti questi nuovi elementi hanno risvegliato i miei sensi e destato la mia curiosità per questa città magica. Stavo viaggiando di nuovo!

Il Vietnam è molto ben attrezzato per i viaggiatori zaino in spalla, e vedere il paese da nord a sud si è rivelato logisticamente semplice. Siamo arrivati alla fine del viaggio a Ho Chi Minh City e da lì ci siamo spostati in Cambogia.

La Cambogia è stata un’altra fantastica scoperta.

Avevo sentito e letto molto del complesso templare di Angkor ma non mi ero aspettata tanta gentilezza dai cambogiani o tanta bontà dalla cucina locale. Un assaggio dell’aromatico amok (un piatto tipico di pesce al vapore e insaporito con spezie e curry) e quasi mi sono ripromessa di non mangiare altro per il resto della permanenza in Cambogia. Ho anche bei ricordi dei mercati, dove il caleidoscopio dei tessuti di seta veniva accentuato dal brillio degli elaborati gioielli.

Un ricordo centrale del nostro mese in Cambodia è l’aver visitato i famosi templi durante la stagione delle piogge. Un breve temporale ha fatto dissipare la folla dei visitatori e ha lasciato l’intero tempio di Angkor tutto a nostra disposizione!

Una “veloce” permanenza di due settimane in Tailandia ci ha visti più che altro rimpinzarci di pad thai a Bangkok e rilassarci sulle spiagge di Koh Tao. Da lì siamo passati alla Malesia.

La Malesia è stata forse la sorpresa più grande.

Penang e il suo cibo di strada fenomenale ci hanno catturati al punto che abbiamo faticato ad andarcene anche dopo dieci giorni trascorsi su questa meravigliosa isola; abbiamo esplorato la umida giungla delle Cameron Highlands e poi goduto del lussureggiante paesaggio delle piantagioni da tè sorseggiandone uno alla menta appena preparato per noi; abbiamo partecipato alla vita notturna di Kuala Lumpur e fatto snorkelling fra i pesci tropicali delle Isole Perhentian.

E allo stesso tempo abbiamo abbracciato lo stile di vita di un paese davvero multiculturale. Sono particolarmente grata di essermi trovata in Malesia durante il Ramadan, e di aver visto paesi animarsi di sera, le piazze invase da stand di cibo di strada e da decine di famiglie radunatesi allegramente sotto le stelle per spezzare il digiuno di un’intera giornata.

Singapore è stato una visita di una settimana, più che altro marcata dalle frequenti visite ai leggendari mercatini di cibo di strada. Tuttavia, i prezzi significativamente più elevati rispetto ai paesi circostanti ci hanno resi desiderosi di passare alla successiva destinazione: l’Indonesia.

Spostarci all’interno dell’Indonesia si è dimostrato più difficile che nei paesi precedenti. Tuttavia, ho apprezzato la sfida perché è servita a ricordarmi che non importa quanto si abbia viaggiato nella vita: non bisogna mai considerarsi esperti e non bisogna dare per scontate le proprie capacità di gestire l’esperienza. Le informazioni su come raggiungere le destinazioni erano spesso incomplete, e i ritardi erano frequenti e spesso lunghi.

Eppure ho finito con l’adorare questo paese, forse proprio perché ha richiesto qualche sforzo in più. Ho visitato templi pieni di magia, assistito a tramonti che mi hanno fatta sentire grata di essere al mondo, guardato dritto nella bocca di vulcani fumanti, mangiato alcuni dei più deliziosi piatti di cibo della mia vita, girovagato fra i meravigliosi colori dei mercati di stoffe batik, e ammirato a bocca aperta l’architettura balinese.

Il nostro visto di 30 giorni ci ha visto limitare le nostre esplorazioni alle isole di Giava e Bali, ma so che dovrò ritornarci per visitare almeno anche Sumatra e Lombok.

Durante i mesi precedenti nella nostra testa si era formata l’idea di deviare il nostro itinerario verso un paese che da sempre avevo sperato di vedere: l’India! Quando il nostro visto per l’Indonesia è scaduto ci siamo sentiti pronti ad affrontare il nuovo programma e abbiamo prenotato i nostri voli per Delhi.

Ricordo di essermi sentita come se si stesse realizzando un sogno.

Ma il nostro viaggio in India è cominciato più con le sembianze di un incubo.

Se da un lato è stato molto semplice raggiungere Nuova Delhi dall’aeroporto con la moderna metro, coprire gli ultimi 3 chilometri fino al nostro hotel si è rivelato un compito lungo e stressante. Tutti gli autisti di auto rickshaw (il classico taxi a tre ruote onnipresente in questa parte del mondo) che affollavano il piazzale della stazione ci hanno detto che a causa di un festival, alcune strade erano chiuse e non erano in grado di portarci all’hotel. Non vedendo chiari segni di festival o strade chiuse abbiamo provato ad insistere, e alla fine uno di loro ha, almeno apparentemente, accettato di portarci il più vicino possibile. Invece ci ha portati ad una agenzia di viaggi in una diversa parte della città, e lì ci è stata raccontata la stessa storia del festival e hanno cercato di convincerci a pernottare in un posto diverso. In pratica erano tutti d’accordo. Nonostante fossimo stanchi e disorientati abbiamo preso i nostri zaini e ce ne siamo andati, cercando di capire dove ci trovassimo mentre altri autisti ci approcciavano con la stessa storiella. Finalmente, un rickshaw onesto ci ha portati all’hotel che avevamo prenotato. A quel punto ero pronta a salire sul primo volo disponibile pur di lasciare l’India!

E invece siamo rimasti per quasi quattro mesi, e nel corso di questo tempo ho imparato ad apprezzare questo paese incredibile e complesso.

In India ho visto la bellezza declinata in tanti modi diversi: nello sbalorditivo patrimonio culturale, nei colori e nel luccicare dei sari indossati dalle donne, nei profondi occhi scuri della gente, nelle ondate di sapore che colpiscono mentre se ne gusta la cucina paradisiaca.

Ma sono stata capace di star bene in India solo quando sono riuscita a sospendere il mio giudizio nei confronti di una cultura che ha messo alla prova alcuni dei miei valori. A meno che non si stia nei contesti distaccati di resort o ashram, credo non ci sia nessun luogo in India che non spinga a lavorare su sé stessi. E questo è stato il regalo più importante che io abbia ricevuto dal paese.

L’esperienza che mi è rimasta più impressa di quei mesi è stata fare amicizia con una famiglia locale durante la nostra permanenza nella bella cittadina di Bundi. Cenavamo al loro piccolo ristorante ogni sera, e trascorrevamo ore a raccontarci a vicenda delle nostre vite e rispettive culture. La figlia faceva pratica di hennè sulle mie mani ed ho avuto il privilegio di farmi accompagnare da lei e dalla madre a comprare un autentico salwar (abito tradizionale indiano). Il negozio in cui mi hanno portata era quasi un buco in un muro e io non l’avrei mai notato e tanto meno ci sarei entrata se non avessi avuto la loro guida! Mi hanno anche regalato alcuni tipici braccialetti e hanno cominciato a chiamarmi “Indian girl”. Sarò per sempre grata per aver incontrato queste anime generose.

In quattro mesi abbiamo visto una buona porzione del paese e abbiamo concluso il nostro viaggio a Goa. Inaspettatamente, stavo cominciando a desiderare un po’ di stabilità e qualche agio in più, e con l’avvicinarsi del Natale sentivo la mancanza dei miei genitori. Abbiamo salutato i tramonti di Goa e siamo partiti alla volta dell’Italia.

Un cuore nomade alla ricerca della sua vita precedente

Sono passati alcuni anni e ora sono proprietaria di un appartamento a Edimburgo e ho il classico lavoro dalle 9 alle 5!

Quando io e Tyler abbiamo scelto di stabilirci in Scozia dopo dieci infelici mesi a Londra, abbiamo trovato lavori d’ufficio impegnativi, e io mi sono convinta che sarei stata felice anche solo facendo qualche vacanza ogni anno.

Ma mi sbagliavo, e la pandemia del 2020 mi ha fatto sentire quanto lontana ero dalla mia famiglia e quanto importante è per me viaggiare per poter vivere la mia vita appieno. Ho capito che qualcosa doveva cambiare.

Quindi eccomi qui, alla ricerca di un modo di riorganizzare la mia vita affinché possa raggiugere un migliore equilibrio fra lavoro e esplorazione del mondo. O anche far sì che i due elementi coincidano!

Avendo comprato casa, non potrò riabbracciare uno stile di vita completamente nomadico, ma con gli sviluppi dello smart working posso stare lontana più a lungo.

Adesso viaggio con un’enfasi maggiore sull’imparare il più possibile su ogni destinazione, documentandomi a fondo prima, durante e dopo la visita, e puntando a catturare con la mia macchina fotografica la bellezza che mi circonda.


Il mio impegno nei tuoi confronti è di raccontarti le mie esperienze in modo onesto, fornirti contenuti rilevanti e a cui ti puoi rapportare, condividere informazioni che possono semplificare l’organizzazione dei tuoi viaggi.

E soprattutto, di ispirarti a rendere il mondo la tua zona di confort!